Torino si auto rappresenta da qualche tempo come “Torino città universitaria“. E non che i numeri diano torto a questa definizione: ci sono più di 70000 studenti a UniTO e 35000 al Poli, di cui circa 16500 provenienti da fuori Piemonte in Unito e 23800 circa al Politecnico. Insomma, numeri importanti e in crescita costante, che rendono necessarie l’implementazione di politiche organiche per andare incontro a questa importante fetta di popolazione: trasporti, housing, servizi di vario genere.
Ma bastano solo i numeri a fare di una città una “città universitaria”? Decisamente no, come dimostra uno dei grandi problemi di “Torino universitaria”: quello relativo alla residenzialità.
L’edizione torinese de La Stampa di oggi snocciola i dati del rapporto Torino Urban Profile 2019, che stima siano necessari 40000 posti letto a fronte dei 5000 attualmente a disposizione nelle varie residenze e campus pubblici e privati. Lo studio evidenzia come il numero di posti letto per studenti in questo genere di residenze sia in linea con il dato italiano, ma molto inferiore ad altri Paesi europei: il rapporto tra numero di studenti e posti letto è del 35% nel Regno Unito, 9% in Germania, 6% in Spagna e solo 3% nel nostro Paese.
Questi dati vengono interpretati dal documento come opportunità di investimento nel settore: numerosi attori privati sono già scesi in campo con i loro progetti (Camplus e The Student Hotel ad esempio) ed è probabile che molti altri se ne aggiungeranno nel tempo, con un pubblico limitato al ruolo di facilitatore dei processi.
Per non lasciare il campo dell’housing studentesco alla sola iniziativa privata, sarebbe necessario un maggiore protagonismo da parte dell’attore pubblico. Da questo punto di vista, si rende sempre più necessario anche per gli effetti che potrebbe avere sulla nostra città l’adozione di un Piano Nazionale per l’Edilizia Universitaria, che preveda l’aumento dei posti letto nelle case dello studente (e la ristrutturazione delle strutture più vecchie). La costruzione di nuovi studentati pubblici sembra quasi un miraggio nelle attuali condizioni, ma si tratterebbe di un investimento utile a rivitalizzare parte del patrimonio pubblico attualmente inutilizzato.
Ovviamente, la questione della condizione abitativa studentesca non si limita ai soli residenti in casa dello studente o nei vari studentati privati: gran parte degli studenti fuori sede a Torino è infatti alloggiata in appartamenti privati, spesso a tariffe troppo elevate, in assenza di regolare contratto, con spiacevoli difficoltà a trovar casa da parte dei colleghi stranieri o maschi (perché stando ad alcuni proprietari le ragazze sono più “gestibili”, il che è terrificante) e in alloggi dalla dubbia qualità edilizia. Il risultato è un’ovvia speculazione in alcuni quartieri, quelli più vicini alle sedi universitarie, e l’arrivo di numerosi studenti con redditi più bassi in zone difficili della città, con un forte rischio di marginalizzazione.
In questo campo l’intervento pubblico è decisivo, e dovrebbe declinarsi nell’implementazione di agevolazioni fiscali per i locatori nei contratti per studenti e nella stesura di una serie di linee guida che regolino le locazioni agli studenti e superino quella serie di pregiudizi che in alcuni proprietari permangono verso alcune categorie di affittuari. Sarebbe anche utile immaginare una serie di agevolazioni per la ristrutturazione degli immobili vincolate alla successiva stipula di un contratto di locazione con studenti universitari.
La domanda è semplice: Torino vuole davvero essere una città universitaria? Un ateneo come il Politecnico è ormai da anni un attrattore costante che spinge studenti di tutta Italia e non solo a trasferirsi, con una spesa molto elevata a carico delle famiglie. La “forza” dell’offerta didattica dell’ateneo fa sì che le numerose mancanze della nostra città nell’offerta di servizi siano in qualche modo messe in secondo piano durante la fase di scelta della città dove effettuare gli studi, ma questo non giustifica il fatto che la città non si adegui.
Ben vengano i progetti di aumento dei posti letto, ma il pubblico si ricordi che non può demandare anche questo tema alla sola iniziativa privata. Servono politiche, norme e investimenti.