Potenza, improvvisazione, scelleratezza, genio e sregolatezza, come d’altronde tutti i geni esistenti al mondo: tutto questo è stato e ha rappresentato Marco Pantani.

Un talento cristallino, puro, sopraffino. Un talento degno di tale etichetta e definizione. In un mare di corridori, atleti, guerrieri e sfidanti lo scalatore romagnolo è stato il pirata per eccellenza, il pirata per antonomasia, il pirata capace di salpare verso mete ai più proibite e dai più neanche immaginate.

Un simbolo, non un semplice numero uno

Marco Pantani è stato un simbolo, non un semplice numero uno: definire semplicemente ‘’un numero uno’’ una figura del calibro di Marco Pantani sarebbe riduttivo e immeritevole nei confronti di un individuo di tale portata e dalla tale caratura sportiva ma – soprattutto – umana.

Con Marco Pantani hanno sognato tanti, tantissimi: bambini, madri, padri, nonni, allenatori, cultori del ciclismo e della fatica in generale. Anche semplicissimi curiosi dell’ultimo istante.

Perché se è vero che è di istanti che si vive, il corridore di Cesenatico è stato capace di dare vita a dei momenti indimenticabili e unici impossibili da far cadere nel dimenticatoio e da scordare.

L’exploit del pirata

Dal suo exploit in occasione del Giro d’Italia del 1994 – con un bellissimo secondo posto in classifica generale e due stupende vittorie di tappa – al bis imperiale del 1998, durante il quale ‘’il pirata’’ – così Marco Pantani era soprannominato dai suoi tifosi – fece sua sia la corsa rosa che il Giro di Francia, il corsaro più amato dal ‘’Bel Paese’’ ha infiammato strade, asperità arcigne e disgraziate ma – cosa ancora più bella ed importante – animi.

Animi che hanno viaggiato con Marco Pantani, animi che hanno sperato per lui, animi che si sono battuti insieme a lui, animi che hanno sofferto per lui e che, da quando non è più in questo palcoscenico buffo denominato terra, convivono con un vuoto che è pressoché impossibile da riempire.

L’ultima salita di Marco

Sono passati sedici anni dalla scomparsa –in circostanze sospette e su cui non si è fatta ancora la giusta e meritata chiarezza – di Marco Pantani, presso il residence ‘’Le due rose’’ di Rimini. Sono passati sedici anni dal saluto che mai gli appassionati di ciclismo avrebbero voluto dare a uno dei suoi rappresentanti più nobili ed eroici.

Sono passati sedici anni da quando Marco Pantani non c’è più, ma non si utilizzi la parola fine: perché una figura come quella dello scalatore di Marco Pantani non avrà mai fine e continuerà ancora ad emozionare tutti coloro i quali hanno incrociato sul loro percorso una persona buona, gentile, disponibile e alla mano. Fragile e rara, troppo, per una società che si fa sempre più sporca e va fiera di ciò.

Sono passati sedici anni da quando Marco Pantani ha mosso le sue pedalate per affrontare l’ultima salita e, l’augurio che chiunque gli ha voluto bene non può non fargli, è che al termine dei tornanti da lui tanto amati possa finalmente trovare quella pace e quella serenità che nella fase conclusiva della sua esistenza sembravano solo un antico ricordo.

Il dono di un intervallo

‘’Mio Dio, mio Dio, a chi assisto? Quanti sono io? Chi è io? Cos’è questo intervallo che c’è tra me e me?’’

Scriveva queste parole il celebre scrittore portoghese Fernando Pessoa nel suo capolavoro Il libro dell’inquietudine. Marco Pantani ha donato un intervallo di passione, tenacia, simbiosi profonda con le mitiche salite che hanno reso leggendario il ciclismo.

Marco Pantani ha donato un intervallo che, con estremo piacere e gratitudine, non verrà mai dimenticato e continuerà a vivere grazie alla memoria di tutti coloro i quali si sono immedesimati in Marco Pantani.

Un uomo buono, sensibile e pieno di umanità: quella tanto agognata umanità che, in questi tempi particolari e non facili da comprendere, è sempre più derisa e disprezzata.

Chi la fa la legga

Mattia Lasio, cagliaritano classe 1995, è un laureando in lettere moderne. Appassionato di sport col sogno di diventare giornalista. Attualmente scrive per la testata GP Report. Gestisce il blog sportivo di corse tappe e qualcos’altro e quello di attualità La consuetudine che aspetti. Cura per il blog di Run Polito la rubrica sportiva “Chi la fa la legga”