Il tessile che diventa sostenibile? si sono da poco concluse le quattro settimane della moda e come ogni anno hanno lasciato strascichi degni degli abiti che hanno sfilato sulle passerelle. Il tema della sostenibilità, ormai concetto chiave dell’epoca contemporanea, è stato al centro dell’attenzione. Ma la moda può davvero convertirsi al sostenibile?

E’ necessario considerare come, storicamente, l’industria dell’abbigliamento sia una delle più nocive per l’ambiente. La Ellen Mac Arthur Foundation stima una produzione di 1,2 miliardi di tonnellate di  CO2 emesse. Tale dato supera l’inquinamento dovuto al trasporto marittimo e aereo complessivo. Un comune paio di jeans comporta una produzione di 33 kg di CO2, inoltre, così come molti altri tessuti, viene spesso ammorbidito con materiali non biodegradabili, come l’elastan, nocivi per il pianeta.

I campi di cotone, invece, comprendono più del 2% della terra arabile nel pianeta, trattati con diserbanti e prodotti specifici, dannosi per l’ambiente. A rendere più forte l’impatto produttivo è la stessa società, che si trova a fronteggiare e a piegarsi ad un sistema economico consumistico. Il modello supporta un ricambio di vestiario molto più frequente rispetto in passato, con il conseguente incremento dei sistemi di produzione.

A fronte di ciò, diverse case di moda hanno aderito al The Fashion Pact. L’accordo riunisce una coalizione di aziende globali leader del settore tessile (tra cui Prada, Ferragamo, Diesel e molti altri), fornitori e distributori, con tre obiettivi condivisi: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani.

Alla ricerca della sostenibilità: esempi e dichiarazioni

Rimanendo in tema, a Milano lo stesso Diesel presenta un nuovo progetto incentrato sul tema del riciclo: Diesel Upcycling For, jeans creato da campioni di riutilizzo o di scarto. Il proposito è quello di rendere la sostenibilità ambientale un concetto formale che ispiri non solo l’utilizzo di materiali ad hoc e meno impattanti, ma un nuovo modello estetico, rispondente alle esigenze dell’uomo di oggi e che rispecchi la situazione mondiale socio-ambientale.

Anche a Londra i materiali riciclati sono i veri protagonisti. Vivienne Westwood, stilista che ha scelto di declinare il suo stile al sostenibile da anni, distintasi nel 2016 con sfilate in sostegno della campagna Save The Arctic, attiva in campo ambientale e per i diritti dell’essere umano sin dal 2005, ha quest’anno incentrato la sua sfilata londinese sul riuso. La collezione utilizza infatti bottoni e tessuto in avanzo, al fine di ridurre al minimo il suo impatto. L’evento si è oltretutto contraddistinto per la sua sincerità: la designer ha infatti esposto pannelli raffiguranti dichiarazioni personali, riconducibili a macrotemi quali la politica, la società e anche l’ambiente. L’evento ha avuto così una forte impronta identitaria, affacciandosi su un importante spaccato moderno globale.

Parallelamente, l’industria tessile sta investendo sulla ricerca di materiali nuovi e meno impattanti. Una delle più moderne e inaspettate stoffe è prodotta dalla Orange Fiber, marchio siciliano che riutilizza gli scarti della lavorazione delle arance. In Italia si producono all’anno 700.000 tonnellate di scarto agrumicolo; quest’ultimo viene trattato e ne viene estratta la cellulosa, adatta alla filatura, trasformata poi in abiti a basso impatto ambientale. Lo scopo è quello di creare un fruitore consapevole eticamente ed uno stile di vita sostenibile. Il punto focale deve essere un nuovo concetto di lusso, connubio di estetica e sostenibilità.

Può la moda essere veicolo di consapevolezza ambientale?

Se è vero che le arti sono un mezzo di espressione e di denuncia, la moda è una delle più contemporanee di esse. I focus che propone ogni anno possono servire da spunto per riflessioni su problematiche attuali e comuni, che grazie a ciò vengono alla luce sempre di più. Rimane il dubbio che molti brand utilizzino il tema della sostenibilità e dell’ambiente come strumento per “cavalcare l’onda” e in qualche modo discolparsi da disastri ambientali da cui si sentono, non a ragione, estranei. E’ comunque importante che una potenza produttiva e con così tanta visibilità come l’industria tessile ponga i riflettori sui temi giusti e faccia  prendere coscienza di quanto il problema ambientale sia attuale, vicino e pericoloso.