Per la rubrica sportiva di Mattia Lasio “Chi la fa la legga”, una chiacchierata con Antonio Azzena, a suo tempo forte atleta di atletica leggera attivo in Sardegna. Prima di cominciare, inquadriamo il contesto.
L’atletica in Italia è a tutti gli effetti uno sport dilettantistico, secondo la definizione data dalle legge 91 del 1981. Come il nuoto, e tanti altri.
Questo significa in sostanza che gli atleti non percepiscono stipendio in quanto atleti, con tutte le conseguenze del caso. Il dilettantismo comporta sicuramente grandi problemi per quanto riguarda chi cerca di eccellere nella disciplina: ecco che allora l’unico modo per poter vivere del proprio sport spesso diventa l’arruolamento in un gruppo sportivo militare dove però l’atleta è stipendiato in quanto militare, non in quanto sportivo. Questo comporta difficoltà tecniche e finanziarie nel mantenimento dell’attività sportiva di alto e medio livello. Di contro, l’assenza del professionismo fa emergere una serie di valori nel pieno spirito olimpico: abnegazione, passione e humanitas. Come in questo caso.
Il valore dell’humanitas
La corsa è un qualcosa di più complesso di un semplice sport, di una semplice disciplina.
La corsa è un gesto che racchiude in sé cuore, cervello, spirito e preparazione certosina e meticolosa.
La corsa è espressione di libertà e, cosa ancora più importante, un esercizio che per essere svolto al meglio necessita di figure capaci, appassionate e consapevoli di ciò che vanno a compiere.
Antonio Azzena è una delle figure più importanti e degne di nota del movimento podistico sardo. Ora allenatore, è stato un atleta di grande caratura seguito sin dai suoi esordi – in occasione dei Giochi della gioventù – dal bravo coach Franco Carta. È autore di prestazioni degne di rilievo e che, ancora oggi, rappresentano i primati regionali su varie distanze del mezzofondo: 3’42’’66 nei 1500m, 5’18’’36 nei 2000m, 8’00’’88 nei 3000m.
Prestazioni dall’importantissimo valore tecnico, che vanno a testimoniare un periodo florido e particolarmente roseo dell’atletica isolana.
«L’atletica – esordisce Antonio Azzena, incontrato nel mese di novembre 2019 in occasione della mezza maratona svoltasi presso il comune di Uta – è come una casa, si parte dalle fondamenta e da lì non si può scappare. Dietro ogni grande atleta ma, più generalmente, dietro ogni atleta, è presente la persona, l’uomo.

Persona prima di atleta
Ogni sportivo è prima di tutto una persona che, come tale, affronta momenti che influenzano poi le sue prestazioni sportive. Affinché un atleta possa crescere e migliorare psicologicamente e sportivamente deve essere seguito, deve essere guidato nella maniera migliore possibile.
Intendo dire che per ogni atleta è di fondamentale importanza l’ausilio e un rapporto approfondito con il proprio allenatore. Allenatore che non deve essere semplicemente colui il quale ti dà i programmi di allenamento e ti dà i responsi cronometrici ma – elemento decisamente più importante – deve rappresentare una guida, una figura alla quale potersi affidare. Un amico, non solo un mister.
Un atleta deve essere dosato, deve essere conosciuto alla perfezione – sotto tutti gli aspetti – dal suo tecnico, deve puntare maggiormente sulla qualità che sulla quantità dei carichi di lavoro.
Tanti problemi. Non pretendere tutto subito
La figura del talent scout è essenziale e, purtroppo, di questi tempi pressoché assente: in campo mancano i giovani perché manca il reclutamento. Manca la passione, la voglia di sacrificarsi, di impegnarsi a fondo per un obiettivo che richiede dedizione e umiltà. Talvolta, e questo rappresenta un errore non certo da sottovalutare, si preferisce il lato economico, il compenso che si ottiene dalle competizioni su strada chiaramente cadendo in un considerevole sbaglio.
L’atletica vede il suo fulcro, il suo apice nelle gare che si disputano in pista. È in pista che assistiamo all’atletica con la “A” maiuscola e vedere una affluenza nettamente minore rispetto al passato non può che dispiacere e far pensare.
Ci troviamo a vivere in una società arrivista, eccessivamente pragmatica che – come è facile dedurre – influenza anche l’ambito sportivo. Non si può pretendere da uno sportivo tutto e subito, è profondamente dannoso. Ognuno ha i suoi tempi, la sua crescita che differisce da quella degli altri individui.
Si cresce piano piano e con la dovuta pazienza. L’età compresa tra i 24 e i 25 anni rappresenta un momento cruciale per un atleta, un momento da gestire con attenzione, professionalità e – come sostenuto in precedenza – tanta passione.
La passione, nell’atletica come nella quotidianità della esistenza, va trasmessa, deve assolutamente essere trasmessa. Bisogna restituire ciò che ci è stato donato e comunicato da figure importanti per la nostra formazione umana e atletica».

Le parole di Antonio sono importanti e preziose. Sono parole tramite cui riflettere non solamente su ciò che concerne la sfera sportiva ma anche – e soprattutto –su quel che riguarda la quotidianità che ogni individuo si trova ad affrontare.
Chi la fa la legga
Mattia Lasio, cagliaritano classe 1995, è un laureando in lettere moderne. Appassionato di sport col sogno di diventare giornalista. Attualmente scrive per la testata GP Report. Gestisce il blog sportivo di corse tappe e qualcos’altro e quello di attualità La consuetudine che aspetti. Cura per il blog di Run Polito la rubrica sportiva “Chi la fa la legga”