Proseguono le interviste del nostro Mattia Lasio per la rubrica sportiva del nostro blog. Oggi, l’incontro con una podista protagonista del movimento sportivo, Roberta Ferru. Come al solito, non solo sport ma anche tanta umanità. Che è ciò che più ci piace, dello sport.

Primi passi

‘’Era un bel gioco andare così da un bersaglio all’altro: forse si poteva fare il giro del mondo’’. Così scriveva il celebre autore nostrano Italo Calvino nella sua antologia di racconti intitolata Ultimo viene il corvo, pubblicata nel 1949 all’inizio della complessa fase di ricostruzione successiva alla conclusione della Seconda guerra mondiale. La corsa si sposa più che dignitosamente a queste sue parole, perché permette di andare da una parte all’altra, addirittura di girare il mondo intero volendo, prendendo parte a un bellissimo gioco che, fortuna e perseveranza permettendo, è possibile praticare per la propria intera vita, persino ad alti livelli nonostante il tempo che inevitabilmente scorre e muta persone, animi e tutto ciò che a costoro sta accanto. Roberta Ferru, podista classe 1968 tra le più forti di sempre della regione Sardegna, questo lo sa bene e a distanza di oltre quarant’anni dalle sue prime competizioni, continua a calcare le strade e le piste della terra dei Quattro Mori con la stessa passione e abnegazione degli esordi, riuscendo con sacrificio e perseveranza a conciliare il suo essere mamma con il suo essere atleta di livello, gestendo con esperienza le problematiche e le responsabilità che riguardano l’esistenza di una persona adulta nella quotidianità giornaliera.

Sempre di corsa

 «Ho cominciato a correre prestissimo, da quando ero poco più che una bambina – dice Roberta Ferru, raggiunta telefonicamente – intorno all’età di otto anni presso Sestu, il paese nel quale vivo dalla infanzia. Correvo chilometri e chilometri, probabilmente pure troppi per quella fase della mia carriera, ma questo non mi pesava di certo, anzi. Le gare di fondo mi hanno sempre attratto e appassionato, per la sottoscritta ‘’fare distanza’’ è sempre stato un piacere, una vera e propria gioia, tanto che quando correvo quasi mi dimenticavo persino del tempo che ci stavo impiegando. Avrei potuto continuare ad oltranza, tanta era la carica e l’adrenalina che mi accompagnavano e mi accompagnano ancora oggi. Dopo questi inizi sicuramente improvvisati e per certi versi non ottimali, essendo i miei primi allenatori individui provenienti dall’ambiente calcistico, ho cominciato ad essere seguita a partire dal compimento dei miei sedici anni d’età da quello che ritengo uno degli esperti e uno dei tecnici migliori di sempre per ciò che concerne il mezzofondo e il fondo italiano: il Professor Nardino Degortes, allenatore di figure di grande caratura quali Sara Palmas e l’ottocentista Davide Cadoni. L’incontro con il Professore è stato fondamentale per la sottoscritta, non solamente dal punto di vista atletico e sportivo ma, elemento ancora più importante e fondatamentale per la formazione di un’atleta, soprattutto per ciò che concerne l’aspetto umano e psicologico. Nardino Degortes per me è stato un secondo padre, non solamente un tecnico dalla solidissima preparazione in grado di trarre dai suoi atleti il meglio da sé stessi. Con il Professore ho cambiato mentalità, oltre che approccio all’allenamento: preferì, giustamente, curare e concentrarsi sulla qualità chilometrica e sulla postura nella corsa, fondamentale per poter compiere quei passi in avanti necessari per il raggiungimento di prestazioni di rilievo a livello cronometrico. Con Nardino Degortes ho raggiunto tutti i miei migliori risultati, entrando a far parte delle liste all time del mezzofondo femminile isolano, dagli 800m sino alla maratona: 2.15.50 negli 800m, 4.31.27 nei 1500m, 9.40.28 nei 3000m, 16.56.20 nei 5000m, 36.28.82 nei 10000m, 1h.20.07 sulla mezza maratona e 2h.48.52 nella maratona. Insomma, tempi di tutto rispetto di cui non posso certo lamentarmi, oltre che gare ed esperienze che porterò sempre nella mia memoria. Penso, ad esempio,  alla mia vittoria in occasione dei campionati italiani di corsa campestre UISP quando appartenevo alla categoria cadette, oppure ai raduni nazionali nella categoria allieve presso Formia a cui sono stata convocata, oppure al mese trascorso, sempre durante un raduno con altri giovani e promettenti atleti provenienti da tutta Italia, presso Fiera di Primiero nel 1985 in cui conobbi la grandissima mezzofondista Gabriella Dorio, una umilissima e tranquillissima persona con cui ho avuto l’onore di interloquire.  Sempre nel 1985, che fu una delle mie stagioni più felici e soddisfacenti dal punto di vista dei risultati conseguiti, ottenni la medaglia di bronzo ai campionati italiani di categoria sui 3000m, dove realizzai il ragguardevole tempo di 10 minuti netti».

Correre è resilienza nelle difficoltà

«Correre non è facile anzi, e non sono certo mancati – prosegue Roberta Ferru nel corso della intervista – i momenti difficili e delicati da affrontare sia dal punto di vista sportivo che da quello umano: nel mio caso, ad esempio, riprendere dopo la maternità è stato complesso ed ha rappresentato un momento molto complicato in quello che è stato il mio percorso atletico. Proprio come non è stato facile rimettermi le scarpe da corsa ai piedi superati i quarant’anni dopo circa dieci di stop pressoché assoluto. Ma con l’impegno, una grande volontà, una incrollabile tenacia e una predisposizione alla resistenza che mi ha sempre contraddistinta, sono riuscita ad andare avanti e a persistere in quella che rappresenta la mia passione più grande da una vita, nel vero senso della parola. Sono tanti i fattori che interessano e riguardano un atleta, fattori che vanno ben oltre la corsa, le ripetute e le classiche metodologie di allenamento che, chi più chi meno, conosce: fondamentale è l’attività preventiva agli infortuni, la mobilità articolare, la cura dello stretching e lo svolgimento di alcuni esercizi necessari per rendere pienamente efficaci le terapie che vengono prescritte da un ortopedico. Anche nel mio caso i cavilli dal punto di vista fisico, ahimè, non sono certo mancati: dolori vari sparsi, entrambi i tendini d’Achille calcificati, fastidi alle bandellette ileo tibiali. Ma grazie all’ausilio di un bravissimo fisioterapista da cui mi sono recata, in quel di Sassari, di nome Marco Angius sono riuscita a superare con pazienza il tutto e a contenere i fastidi persino nelle fasi più critiche e rognose, potendo di conseguenza allenarmi e gareggiare con regolarità e gioia, la stessa gioia – probabilmente persino più grande – di quando ho iniziato questa bellissima avventura nella disciplina della atletica leggera».

‘’Quel che importa non è la nostra vittoria, bensì la nostra resistenza’’, diceva il Premio Nobel per la Letteratura Francois Mauriac. E Roberta Ferru, che comunque nel suo bagaglio agonistico di vittorie e primi premi può annoverarne parecchi e di indubbio spessore, ne è una bellissima dimostrazione. La dimostrazione e la testimonianza che il sacrificio, la passione – quella vera, reale e sincera per ciò che si fa – conferiranno sempre una marcia in più ad una persona, nella vita come nella atletica che ne rappresenta da sempre una nobile e saggia parte. Una parte che sa insegnare costantemente e saggiamente nonostante lo scorrere dei giorni, una parte che sa essere maestra con la stessa e consueta argutezza degli inizi, dove tutto appare più facile e, forse, persino un po’ più bello e speciale.

Chi la fa la legga

Mattia Lasio, cagliaritano classe 1995, è un laureato in lettere moderne. Appassionato di sport col sogno di diventare giornalista. Attualmente scrive per la testata GP Report. Gestisce il blog sportivo di corse tappe e qualcos’altro e quello di attualità La consuetudine che aspetti. Cura per il blog di Run Polito la rubrica sportiva “Chi la fa la legga”

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Immagine in evidenza: Foto da University of Delaware Blue Hans

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