La corsa è libera espressione, una vera e propria forma d’arte grazie alla quale scolpire opere destinate a non farsi sopraffare dal tempo, dai suoi buffi mutamenti e dalle giovani mode. C’è chi della sua passione sportiva ha fatto un qualcosa di più di un semplice esercizio agonistico e confronto, riuscendo ad incantare e stupire appassionati, addetti ai lavori e semplici curiosi. Piero Ligas è stato uno rappresentanti indiscussi e più importanti, uno dei più forti, incisivi e longevi della storia del mezzofondo isolano, cresciuto atleticamente in un periodo nel quale i talenti, la voglia di fare e il desiderio di impegnarsi rappresentavano delle costanti tramite le quali migliorarsi passo dopo passo, ripetuta dopo ripetuta, giorno dopo giorno.

Incontrato nei pressi del suo studio nella suggestiva e antica via La Marmora, successivamente presso la splendida cornice dei Giardini Pubblici in quel di Cagliari, Piero Ligas è quella classica tipologia di gentiluomo che, con estremo rammarico, al giorno d’oggi è sempre più raro incontrare: snello, atletico, gentile, a modo, pacato. Una pacatezza elegante, una pacatezza che ha portato e mostrato fieramente all’interno dei campi d’atletica e al di fuori di essi. Una pacatezza che ha caratterizzato il suo modo di correre e il suo modo di dipingere, il suo modo di intendere l’atletica di cui è stato un nobile e non comune esponente. «La mia avventura nell’ambiente della atletica – comincia Piero Ligas con calma e fermezza nel parlare – è cominciata in maniera consueta e comune, grazie ai campionati studenteschi mentre frequentavo l’Istituto per Geometri, ma al contempo simpatica e buffa, dato che decisi di partecipare alle selezioni per la squadra che sarebbe andata a disputare le gare campestri per saltare un giorno di scuola insieme al mio compagno di banco di nome Giorgio. Avevo diciassette anni e, senza alcuna preparazione ed esperienza per ciò che concerne la gestione delle dinamiche di gara, ottenni un buon secondo posto dietro a Luciano Floris, promettente ragazzo appartenente alla categoria Juniores, decisamente più allenato e smaliziato rispetto al sottoscritto. Sono state tante le figure che ho conosciuto durante la mia carriera, alcune decisamente importanti e fondamentali per la mia maturazione atletica ed umana: il mio primo allenatore fu Carlo Ullu, colui che mi scoprì – con cui insieme ad Alberto Giagu, Aldo Medea e Mariano Leoni ‘’costruimmo’’ il settore maschile del Cus Cagliari – poi passai sotto la guida di Aldo Medea e, infine, del Professor Nardino Degortes. Aldo Medea fu per me una figura essenziale che mi permise di compiere un salto qualitativo notevole, una figura che mi conosceva ed era in grado di capirmi, con il quale sono stato anche compagno di allenamento. Una figura che è stata capace di farmi correre su tempi importanti, dopo una lunga pausa dagli allenamenti e dalle competizioni.

Ho ripreso a correre intorno ai 27 anni, in maniera oserei dire, quasi, fortuita proprio come ho cominciato grazie ad un inatteso incontro in Piazza Costituzione con un ex atleta di nome Paolo Sedda, con il quale ci incontravamo settimanalmente riprendendo il tutto dalle basi. 5 minuti, poi 10, poi 15, poi 20 e via dicendo, sino a macinare sempre più chilometri sempre più velocemente e intensamente. Paolo è stato molto importante per me, soprattutto in quel momento che per il sottoscritto non era certo facile: mi è stato vicino umanamente, stimolandomi e spronandomi nel mio percorso di recupero e di riavvicinamento alla attività. Fu importantissimo per me, proprio come Renzo Madeddu – ottimo siepista e crossista sardo – al quale ero e tuttora sono legato da una amicizia fraterna, con cui ho avuto il piacere di condividere tanti allenamenti e sedute di preparazione alle competizioni principali della stagione agonistica. Tutte queste figure sono state fondamentali e necessarie per la mia crescita, non solamente dal punto di vista atletico e dei risultati cronometrici, bensì sotto il profilo umano senza il quale non si può intraprendere nessun percorso».

«Aldo Medea e il Professor Nardino Degortes – prosegue Piero Ligas – hanno rappresentato due tasselli essenziali nel raggiungimento di prestazioni di alto livello per il sottoscritto. Due tasselli senza i quali non avrei ottenuto determinati risultati. Con entrambi ho realizzato i primati sardi in distanze come quelle dei 3000m, dei 5000m (primato che ancora mi appartiene), dei 10000m, ho stabilito il record dell’ora in pista, oltre che il primato sardo della 4x800m insieme ad altri forti atleti quali Madeddu, Ariu e Palmeri. con entrambi ho trovato una nuova dimensione che mi ha permesso di mettermi alla prova e ‘’rompere uno schema’’ per alcuni limitante: quello dell’età. Rispetto a tanti ragazzi che corrono bene e forte, oltre che tanto, nelle categorie giovanili per poi perdersi una volta passati tra gli assoluti, io ho seguito un cursus honorum differente, per alcuni magari anche atipico all’epoca. Ho avuto una crescita più lenta, una crescita graduale, una crescita costante dei carichi che mi ha permesso di rendere meglio andando avanti con il tempo. Insomma, come si è soliti dire, il vino più invecchia e più diventa buono e ciò, sportivamente parlando, è ciò che è capitato al sottoscritto. Il passaggio all’Amsicora con Nardino Degortes – avvenuto nel momento in cui Aldo Medea decise di creare e dedicarsi ad una squadra esclusivamente femminile – mi ha proiettato in una ulteriore nuova dimensione, mi ha dato nuova verve, grazie ad esso mi sono posto nuovi obiettivi e ciò si è rivelato indubbiamente proficuo mentalmente e sportivamente parlando. Ho ritoccato ulteriormente il mio personale sui 5000m, distanza nella quale ottenni anche un settimo posto in occasione dei campionati italiani su pista, arrivando a correre questa distanza in 14’02’’9, sono sceso abbondantemente sotto i 30 minuti nella distanza dei 10000m, ho realizzato il tempo di 8’07’’92 sui 3000m che nel 1983 significava primato regionale assoluto prima di essere battuto da Antonio Azzena, ho preso parte in svariate occasioni ai campionati italiani assoluti su pista realizzando più volte il minimo di partecipazione, mi sono confrontato con i migliori esponenti della atletica nostrana. Ho vissuto sulla mia pelle un periodo glorioso, un periodo d’oro della atletica italiana.

Tra i periodi principali e maggiormente felici del mio percorso sportivo ricordo la nascita dell’Ucla – squadra creata da Aldo Medea e Benito Murgia – con la quale passai cinque intensi anni indimenticabili dal punto di vista umano e sportivo. Un periodo che ci ha regalato tante gioie, soddisfazioni e momenti di grossa emozione. Tutti elementi che identificano e rappresentano appieno l’atletica e la sua essenza: per il sottoscritto l’atletica ha significato totale libertà, totale estemporaneità. Non confronto con l’avversario, bensì confronto con me stesso, con il mio io, con la mia capacità di gestire la fatica e la sofferenza fisica, ricerca continua e incessante di un miglioramento prima di tutto a livello umano e solo successivamente cronometrico. Per me l’atletica ha rappresentato il continuo della mie corse da bambino nel mio paese natale, ovvero Nurri, una totale simbiosi con tutto ciò che mi circondava durante il gesto atletico. Non ho mai utilizzato il cronometro, non sono mai stato un maniaco dall’analisi cronometrica né durante le sedute di allenamento, né durante le molteplici competizioni alle quali ho partecipato. Ho sempre ascoltato il mio corpo durante la corsa, entrando in totale sintonia con esso. Ho sempre ritenuto la corsa come purissima improvvisazione e fantasia e in maniera fantasiosa ho cercato di intenderla e praticarla, andando ad esempio ad ideare di volta in volta nuovi percorsi per allenarmi, supportato da una grandissima passione senza la quale non sarebbe possibile andare avanti in uno sport antico e severo come l’atletica è. Una passione sincera la mia sin dai miei esordi nella storica società Esperia, nella quale sono nato e nella quale ho terminato la mia attività, , ci tengo a ribadirlo, che non ha mai strizzato l’occhio a secondi fini o a al desiderio di premi e lusinghe varie. Passione che mi ha portato, una volta terminata la mia carriera agonistica, alla fondazione della squadra Futura Cagliari nel 1991, insieme a Renzo Madeddu, Tiziana Scalas e Idelma Mulas. Le lusinghe sono sinonimo di pericolo e poca trasparenza e, sinceramente, non mi sono mai interessate proprio come i riconoscimenti e gli onori che ho ricevuto in quantità minima. L’ambiente della atletica, come in generale l’ambiente dello sport, è un ambiente non facile dove si muovono anche tante persone che di sportivo hanno poco e sono maggiormente interessate a quelle cosiddette ‘’chiacchiere da bar’’ che dovrebbero stare, invece, a debita distanza da ciò che rappresenta l’atletica insieme ai suoi protagonisti. Un atleta – conclude Piero Ligas – deve essere deciso, forte e stabile dal punto di vista psicologico ma ciò non sempre avviene: sono tanti gli atleti che, deboli caratterialmente, cedono alle lusinghe di figure che hanno ben poco da insegnare e con le quali sarebbe meglio non avere nulla a che fare. Personalmente, non ho alcun tipo di rimpianto: ho dato il meglio di me con onestà, correttezza e abnegazione verso tale disciplina. Il tutto, certamente, non è stato facile dato che non ho avuto l’opportunità di essere un atleta a tempo pieno, dovendo dividermi tra il lavoro, la mia famiglia e la mia passione verso la pittura e il mondo dell’arte».

Stefano Benni, uno dei narratori contemporanei più bravi ed apprezzati della Penisola italica, nel suo libro intitolato ‘’Di tutte le ricchezze’’ scrive: ‘’La storia è una terra stregata, continuamente riscoperta’’. La storia di Piero Ligas è una di quelle. Una di quelle storie che è doveroso riscoprire, conoscere e prendere come esempio, per comprendere che l’atletica – ma più generalmente lo sport preso nella sua totalità – non è solamente individui che primeggiano, vincono e si impongono sugli altri, ma qualcosa di decisamente più importante, complesso e profondo. Qualcosa che porta alla conoscenza di sé, qualcosa che porta al superamento dei propri limiti e delle proprio paure. Paure che, troppo spesso, offuscano la vista di un individuo impedendogli di vedere quella luce che rischiara gli animi e notti che appaiono estremamente scure.
Chi la fa la legga
lettere moderne. Appassionato di sport col sogno di diventare giornalista. Attualmente collabora con l’Unione Sarda. Gestisce il blog sportivo di corse tappe e qualcos’altro e quello di attualità La consuetudine che aspetti. Cura per il blog di Run Polito la rubrica sportiva “Chi la fa la legga”
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Immagine in evidenza: Opera di Piero Ligas
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