Il 9 novembre celebriamo il 30° anniversario della caduta del Muro di Berlino, da molti definito “muro della vergogna”. Il muro fu per 28 anni simbolo funesto della Guerra Fredda e della divisione dell’Europa e del mondo.
Il muro della vergogna fu costruito nel 1961 per fermare l’esodo della popolazione dalla Repubblica Democratica Tedesca verso la Repubblica Federale di Germania, più ricca: tra il 1949 e il 1961 erano fuggiti dall’est quasi tre milioni di tedeschi, molti dei quali professionisti qualificati. Con il paese sull’orlo del collasso economico e sociale, il governo della Repubblica Democratica Tedesca prese quindi la decisione di blindare tutto il confine. Costruì il muro in una notte, il 13 agosto 1961.
Il nome ufficiale era “barriera di protezione antifascista”, destinata a difendere i tedeschi orientali dall’Occidente. Il muro era solo il confine visibile; al di là, nella Repubblica Democratica Tedesca, la cosiddetta “striscia della morte” conteneva trincee, letti di chiodi e altri meccanismi difensivi. RDT costruì analoghi sistemi per impedire la fuga delle persone anche lungo le vie d’acqua che segnavano il confine.
Tanti nuovi “muro della vergogna”?
Da allora tuttavia sono state progettate e realizzate molte altre barriere in tutto il mondo. Barriere che dividono territori, nazioni, perfino quartieri della stessa città. Anzi, ben tre quarti dei muri attualmente esistenti sono stati innalzati dopo il 1989. L’elenco è molto lungo e include tutti i continenti: Africa, Asia, Europa, Americhe. Molti Paesi si sono chiusi con muri in cemento o attraverso imponenti reti sorvegliate, in nome della protezione e della sicurezza dei cittadini.
Gli effetti sono disastrosi in termini di negazione dei diritti umani, fino alla morte di chi, quei confini, ha comunque tentato di superare. Proprio l’Europa si è contraddistinta, negli ultimi anni, per uno spiccato attivismo nella difesa materiale delle proprie frontiere. L’area balcanica, in particolare, ha visto il proliferare di barriere fortificate e sorvegliate, con l’obiettivo di bloccare i movimenti migratori.
I muri e le recinzioni non sono però solo fisiche: assistiamo a un progressivo ripiegamento su se stesse di tutte le comunità, spesso sedotte dalla retorica sovranista ed ultra-nazionalista. Sirene che invitano a respingere, a rifiutare l’incontro e il confronto, e ad identificare nell’altro l’insidia, il potenziale pericolo.
Qualcuno propone
Un mondo meschino, ombelicale, a compartimenti stagni, in cui la diversità è una minaccia e l’inarrivabile omogeneità un fine a cui tendere. Trent’anni fa, quando crollava il muro di Berlino, pensavamo che fosse finita un’epoca. Ma era solo un nuovo inizio
C. Greppi, L’età dei muri, 2019