Primavera degli Studenti Torino è la casa comune delle associazioni studentesche torinesi Run Unito e Run Polito, parte della rete nazionale di Primavera degli Studenti. Ogni giorno lavoriamo nelle nostre università non solo per fare buona rappresentanza, ma per sensibilizzare e portare avanti i grandi temi che interessano la nostra generazione, come il diritto allo studio.

Primavera degli Studenti Torino

Per questo 8 marzo abbiamo deciso di esporre per la città dei manifesti con lo slogan “Abbiamo tanto da fare“, perché la questione femminile nel nostro Paese (e non solo) non si risolve con le mimose.

L’Italia nel 2021 era al 63° posto con uno dei gender gap più alti d’Europa, con un 10% a favore degli uomini che arrivano a prendere anche 3000 euro in più all’anno (Federconsumatori, 2021).

In Italia lavora mediamente solo una donna su due, quasi la metà con un contratto part-time e con meno possibilità di fare carriera: solo il 28% dei manager sono donna. Nel mondo scientifico, solo il 18% delle ragazze sceglie materie STEM all’università, con un mondo accademico che vede ancora prevalere nettamente gli uomini tra i docenti ordinari. Sensibilizzare è il primo passo per agire. Nelle università, nei luoghi di lavoro e nella vita di tutti i giorni.

Ecco la riflessione della nostra Yasmina Houmi:

Tutte cresciamo incasellate nei ruoli che la società ci assegna, stigmi e pregiudizi così radicati da sembrare ormai parte naturale del nostro essere.

Pregiudizi che contribuiscono alla nascita di episodi violenti: una violenza non solo fisica, ma che viviamo sui nostri corpi e sul nostro essere. Nei banchi di scuola, nei luoghi di lavoro, persino negli ospedali.

In questi giorni si parla tanto di donne, con fiori, auguri e la percezione di tanti che la Giornata Internazionale delle Donne sia una festa. Non lo è, e le mimose ci possono piacere o meno. Sicuramente però, ci piace di più l’idea di poter superare un’impostazione della società ancora incastrata a un modello vecchio e patriarcale, che incastra chiunque in qualunque identità si riconosca in precisi ruoli e doveri, che impone un modo di comportarsi, aspettative e ambizioni.

I problemi sono tanti, e tutti estremamente pratici: la differenza tra le possibilità di fare carriera nelle aziende, le differenze salariali, il ruolo delle donne all’interno della famiglia. Persino il nostro mondo accademico non è immune, con una netta prevalenza di uomini a occupare le cattedre delle nostre università e una situazione di enorme disparità nei corsi di studio STEM: ancora tantissime ragazze non scelgono di studiare nell’ambito della scienza e della tecnologia, e non lo fanno perché non sono stimolate a farlo anche a causa di stereotipi duri a morire che vedono gli uomini “naturalmente più portati” a percorsi in quelle materie. Non c’è giustizia nemmeno nelle famiglie e nella genitorialità: il congedo parentale obbligatorio per i padri è di soli 5 giorni, di fatto incaricando solo la madre del ruolo di genitore a tempo pieno nei primi mesi di vita: siamo agli ultimi posti in Europa, così come lo siamo per una scarsa attenzione alle esigenze delle madri lavoratrici, alla distribuzione di asili nido e alle tutele.

È solo la punta dell’iceberg, le questioni più tangibili che nascondono un approccio alla questione femminile ancorato al passato e a un fantomatico ruolo di angelo del focolare. Ne paga anche la politica e la rappresentanza, con equilibri di genere che devono essere garantiti per legge per evitare che quei posti diventino appannaggio dei soli uomini: succede anche nelle segreterie dei partiti, ancora guidati in larghissima parte da maschi.

Non è una questione di parità da intendere come pari numero. Raggiungeremo davvero la parità quando una persona potrà esprimere il proprio potenziale senza barriere all’accesso e durante il suo percorso in qualche modo riconducibili al suo genere.

E siamo in un fortunato Paese Occidentale. In tanti Paesi in condizioni politiche critiche e spesso attanagliati dalle guerre, le condizioni delle donne sono ancora peggiori e le donne stesse sono le prime a subire le ingiustizie e le iniquità. C’è il dramma dell’accesso all’istruzione di milioni di bambine. Ci sono i matrimoni combinati, le mutilazioni o la segregazione durante il ciclo.

Ma in questo 2022 non possiamo non rivolgere il pensiero alle donne afghane e alle donne ucraine, e notare la disparità di trattamento. Le prime vedono le loro conquiste rischiare di svanire giorno dopo giorno nella restaurazione dei taliban, tentano con le loro famiglie di raggiungere un’Europa spesso inospitale, rifiutate ai confini. Le seconde, anche loro in fuga, spesso con i figli, vengono accolte in questa Europa che per loro spalanca le proprie porte. Colore della pelle? Vicinanza geografica? Chissà. Sicuramente, pregiudizio.

Nel dramma ucraino ci sono anche le donne che hanno deciso di restare a combattere. Seppur nell’orrore della guerra un segno di emancipazione, che ci ricorda le combattenti curde che per hanno versato il loro sangue contro il terrore dell’ISIS.

Un pensiero a tutte noi, in questo giorno di riflessione.